Sant’Antonio di Padova

La festa più sentita dagli arburesi

La sagra – intesa come festa celebrativa o commemorativa – di Sant’Antonio di Padova ha origini antichissime e si ripete anche ai nostri giorni.
Di sabato, dopo la Santa Messa delle ore 7,30 nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano, il simulacro del santo viene riposto all’interno del cocchio: parte una delle processioni più lunghe d’Europa. Accompagnato in processione, il cocchio, trainato da due buoi preparati all’uopo, raggiunge prima il valico di Genn’e Frongia all’uscita del paese e prosegue poi per Guspini dove è accolto dalla popolazione festante. Il cammino in processione, superate oramai le ore dodici, prosegue fino ad un’area sosta per il pranzo, dove si ferma per circa due ore. Continua attraversando la piana di Santadi fino alla borgata di Sant’Antonio di Santadi, frazione del comune di Arbus, ove giunge verso mezzanotte accolto da una grandissima folla festante. Alla periferia il sacerdote, parroco della borgata, accoglie il santo con una processione che termina qualche centinaio di metri nella piccola chiesa intitolata al santo di Padova. La benedizione chiude la prima lunghissima giornata di celebrazioni.
La domenica e il lunedì si susseguono nella borgata di Santadi messe e processioni con benedizioni dei campi e dei raccolti. Si svolgono anche festeggiamenti civili con spettacoli musicali e intrattenimenti vari.

Il martedì, di buon mattino, dopo la Santa Messa si compie il percorso inverso con il santo di Padova che fa rientro a tarda sera nella chiesa parrocchiale di San Sebastiano ad Arbus, anche stavolta accompagnato in processione e accolto nelle varie tappe da numerosi fedeli.

Durante la processione si susseguono le preghiere e i canti di lode al santo in lingua sarda (gòccius). I canti oltre a essere un’invocazione al santo, ne richiamano i principali avvenimenti della sua vita.

Portentu de su Signori,
de sa Crésia glória e vantu,
Antoni de Pàdua santu,
siais nostru protetori

Gòccius de Sant’Antoni de Pàdua – Incipit e ritornello delle lodi cantate al santo in processione

Nella borgata di Santadi, la chiesa intitolata a Sant’Antonio di Padova, nelle forme attuali, fu inaugurata il 18 giugno dell’anno Santo 1950. Venne edificata al posto di un’antica chiesetta con campanile a vela. I primi documenti che attestano la presenza di questo luogo di culto risalgono al 1650.

Si presume che la festa in onore di Sant’Antonio sia di derivazione pagana: un tempo gli abitanti di Arbus giungevano nella piana di Santadi per la mietitura del grano, presumibilmente si susseguivano festeggiamenti vari che duravano per tutte le sere successive. Alcuni storici propendono addiritura per l’assonanza della festa con quelle di rito pagano romano che celebravano la mietitura del grano e più in generale dei cereali nella tarda primavera dopo un anno di sacrifici.
In seguito sul finire del 1.600 la festa sarebbe stata ricondotta al santo di Padova senza mai però tralasciarne il legame con la vita contadina. Le lunghe processioni che accompagnano il santo sono da sempre seguite dalle tracas: carri particolari allestiti per la festa, i più classici trainati ancora oggi da un giogo di buoi adornato per la festa, con su pani de saba (il pane di sapa) infilato nelle corna alle cui estremità è posta un’arancia.

Il saggio intitolato “Culto dei santi e villaggi di nuova fondazione nella Sardegna barocca” di Giampaolo Salice

Origini e importanza della festa per Arbus e Guspini

Sulle origini e l’importanza della festa nei territori dell’Arburese e in particolare sul perpetuarsi della processione in onore del santo di Padova possiamo riferirci anche al saggio Culto dei santi e villaggi di nuova fondazione nella Sardegna barocca di Giampaolo Salice (Università di Cagliari) secondo il quale – il culto di questi santi locali (si fa riferimento nel saggio anche a Santa Sofia del Parte Montis n.d.r.) non è solo una manifestazione di devozione “popolare”, ma anche strumento di affermazione di nuove élite contadine, che se ne servono per difendere le proprie prerogative giurisdizionali e per legittimare la propria avanzata sociale e politica – e in particolare con riferimento precipuo a Sant’Antonio nei passi successivi: – Per tutto il Seicento, le élites dei villaggi del distretto di Montangia (si fa riferimento ai villaggi di Arbus, Guspini e Gonnosfanadiga n.d.r.) tengono a bada le smanie espansionistiche dei villaggi di nuova fondazione della pianura. Una delle armi politiche più potenti utilizzate dai villaggi d’altura è il pellegrinaggio che ogni anno si celebra in onore di Sant’Antonio di Santadi (più correttamente di Padova n.d.r.).
La processione sarebbe attestata per la prima volta nel 1694, momento nel quale ha inizio l’espansione fondiaria dei villaggi di pianura fondati nel primo Seicento. È verosimile che sia stato l’espansionismo di Terralba a dare origine a una delle processioni più lunghe d’Europa.
Dopo avere percorso circa 40 chilometri attraverso la striscia di territorio rivendicata da Guspini e che corre lungo le pendici del Monte Arcuentu, il corteo di fedeli rientra nella giurisdizione di Arbus fino all’arrivo nella regione denominata Santadi, sulla quale insiste la chiesa rurale dedicata a Sant’Antonio da Padova. Il santuario sorge a ridosso del confine tra Arbus e Terralba, a presidio di un territorio fertile, lambito dallo stagno di Marceddì; un’area che, insieme alle altre località attraversate dalla lunga processione, da metà Seicento subisce aggressioni da parte dei villaggi di nuova fondazione.
Se dunque la pratica rituale viene consumata congiuntamente da Guspini e Arbus è perché essa è finalizzata a rinnovare annualmente un’alleanza politico-territoriale e militare sentita come fondamentale per l’esistenza stessa delle due comunità. Non si tratta solo di appropriarsi simbolicamente dei luoghi contesi e di rispondere all’offensiva dei vassalli di pianura, ma anche di legittimare l’autorità dei due villaggi nei confronti del potere locale superiore, cioè il Marchesato. Il dispositivo cerimoniale dispiegato dai due paesi, connotato da una fastosità tipicamente barocca, ha dunque un contenuto
giurisdizionale pregnante: rappresenta plasticamente l’autonoma capacità giuridica dei due paesi di agire, in un ambito – il governo di ciò che essi percepiscono come proprio corpo territoriale – nel quale non ammettono intrusioni, nemmeno da parte dei funzionari feudali. È una pratica contestativa analoga a quella che ha infiammato il versante partemontino della piana terralbese. Lo abbiamo visto. Tuttavia, mentre nel Seicento il Marchesato affronta con decisione i villaggi del Parte Montis, ora si mostra più prudente: le élite paesane di Guspini e Arbus esprimono una forza politica e militare maggiore che in passato e possono meglio fronteggiare un organigramma feudale che si indebolisce progressivamente. Sono loro a finanziare il presidio dei territori di Arbus e Guspini; loro governano il culto del santo più importante del distretto, e lo usano per affermare pubblicamente di essere i legittimi possessori delle terre di Neapolis, sebbene esse ricadano formalmente entro il demanio di Quirra.

Si intuisce da questo stralcio del saggio come la festa sia da sempre partecipata e vissuta con fede e devozione particolare anche dagli abitanti del vicino paese di Guspini, attraversato dalla processione, e anche di Gonnosfanadiga che possiede una sorta di enclave (Pardu Atzei) sul versante orientale del Monte Arcuentu, visibile per lunghi tratti della processione da Arbus a Sant’Antonio di Santadi.

Vivere l‘atmosfera della festa di Sant’Antonio ad Arbus

Festeggiare Sant’Antonio ad Arbus significa vivere l’atmosfera disincantata di un paese che si ferma sospeso tra fede, devozione, folklore e tradizioni che si riverberano di anno in anno quasi immutate per più di tre secoli.

In particolare la mattina della partenza della processione si ode il cigolare delle ruote delle tracas che convergono dalle campagne verso la chiesa in cui si celebra la prima Santa Messa, i cavalieri con il crepitare degli zoccoli dei loro cavalli vestiti a festa aprono la processione, i gruppi folk provenienti da tutta la Sardegna sfilano nel tratto di strada adiacente la piazza e iniziano ad intonare i canti e a recitare le preghiere che accompagneranno la processione di fedeli per tutto il tragitto.

Ad un certo punto, conclusa la Messa e la Benedizione del Pane, il Santo di Padova viene esposto all’esterno della Chiesa, su un tavolo addobbato davanti al portone di ingresso. Parte un lungo applauso, sul simulacro convergono petali di rose rosse e bianche; ognuno conferma nel suo cuore il voto fatto a Dio. Il simulacro viene posto sul vecchio cocchio addobbato con i gigli bianchi. Fiori rosa, rossi, gialli e bianchi ed essenze profumate di macchia mediterranea sono riversate sulla strada a formare il lungo tappeto su cui transiterà il santo: è il rituale de sa ramadura. Il santo ora è pronto per la partenza. I gruppi parrocchiali si mettono in fila e partono anch’essi; accompagneranno il Santo fino all’uscita del paese tra canti e preghiere lente e incessanti. Sfila anche la banda musicale del paese che copre le preghiere del Rosario e le invocazioni del sacerdote e dei numerosi fedeli che seguono il cocchio nel frattempo partito. In fondo alla processione dietro gli ultimi fedeli ci sono le tracas, prima quelle a buoi, poi quelle a motore.

La magia aleggia lungo tutto il tragitto, la sfilata di cavalieri, gruppi folk provenienti da tutta la Sardegna, gruppi parrocchiali, banda musicale con tutto il corteo di fedeli a seguito del grande cocchio con il Santo di Padova si ripete anche a Guspini prima di prendere la via della piana di Santadi. I turisti colgono i momenti più toccanti, indecisi se portare a casa un fotogramma o un ricordo che rimarrà impresso nella loro mente per tanto tempo.

I programmi della festa in onore del Santo di Padova

Le pagine dei frati minori conventuali della Basilica di sant’Antonio di Padova:
www.santantonio.org