Origine, sviluppo e fine delle Miniere di Montevecchio

Le origini della miniera

La storia di Montevecchio si perde nella notte di tempi, sono presenti tracce di insediamenti umani risalenti all’età prenuragica, nuragica, punica, romana e medievale.
Nel 1628 un pregone accordò a Giacomo Esquirro il diritto di scavare nelle miniere di Sardegna proibendo di conseguenza a chiunque altro di effettuare scavi specialmente in territorio di Arbus.
Anni e anni dopo, un prete, don Antonio Pischedda, accortosi dell’importanza del sito, si recò a Marsiglia alla ricerca di capitali per finanziare la coltivazione dei filoni minerari. Qui incontrò casualmente il sassarese Giovanni Antonio Sanna, il quale, fondata una società mineraria, ottenne il 28 aprile 1848 la concessione perpetua di Montevecchio. Sotto la guida del Sanna, il quale investì tutti i suoi averi, fu sviluppata la miniera intorno al Pozzo Sant’Antonio e alla Laveria Rio. In poco tempo la miniera di Montevecchio diventò di gran lunga la più importante del Regno; nel 1865 poteva contare 1100 operai.

Gli avvicendamenti e lo sviluppo

La Società di Montevecchio si presentò nel 1900 all’Esposizione Universale di Parigi come una delle maggiori produttrici di piombo e zinco e ne ottenne significativi riconoscimenti. La dirigenza andava incrementando gli investimenti di anno in anno: furono migliorati i sistemi di lavoro, si procedette all’elettrificazione sia interna che esterna della miniera, furono adottati moderni sistemi di perforazione. Uno dei maggiori riconoscimenti alla Montevecchio, Società Italiana del Piombo e dello Zinco, lo si deve al Signor Letterio Freni che nel dopoguerra inventò e sperimentò un mezzo gommato utile per lo sgombero della roccia, l’Autopala, mezzo che consentì di eliminare i binari dalle gallerie e di ridurre fortemente la manodopera aumentando l’efficienza economica dei cantieri.
La Società intanto andava adoperandosi anche per lo sviluppo del settore abitativo; a differenza delle vicine miniere di Ingurtosu e Gennemari, in mano alla società inglese della Pertusola, furono fatti importanti investimenti anche in campo sanitario, scolastico e sociale. Molti minatori decisero dunque di trasferirsi a Montevecchio.

L’illusione prima della fine

La prima vera crisi legata alle difficoltà internazionali (del 1929) ma anche alle politiche industriali della Società giunse negli anni ’30. Un accordo con la Società di Monteponi consentì l’istituzione nel 1932 di un polo metallurgico nei pressi di San Gavino Monreale, a circa 18 km da Montevecchio.
Nel dopoguerra il persistere delle difficoltà economiche spinse i proprietari della Montevecchio a cedere le proprie quote di capitale al gruppo della Montecatini. Sotto la direzione del presidente di tale società chimico mineraria, l’Ingegner Guido Donegani, furono fatti importanti investimenti e la miniera riprese i suoi ritmi di sempre, producendo grossissimi quantitativi di minerale. La forte concorrenza dei paesi africani i quali potevano permettersi di produrre a costi vantaggiosissimi e dunque di offrire il minerale al mercato europeo a prezzi migliori, aveva costretto la società all’imposizione del Patto Aziendale, una sorta di ricatto ai 3750 operai che in cambio della certezza del posto di lavoro dovevano rinunciare ad una serie di diritti. Tale patto aveva fornito ai minatori gli elementi per la storica contestazione del 1949.
Si riuscì comunque a prolungare il ciclo di vita della miniera fino agli anni Sessanta quando il Patto fu messo da parte. Ma oramai il giacimento di Montevecchio era diventato poco remunerativo; la Società passò dunque a capitale pubblico e si dovette procedere ai primi licenziamenti.
Nel 1991 alcuni minatori si asserragliarono per 26 lunghissimi giorni all’interno del Pozzo Amsicora per la difesa del proprio posto di lavoro. Fino al 17 Maggio 1991. Giorno della fine della miniera.